venerdì 30 dicembre 2011

La polvere e la stazione



Voglio scrivere qualcosa.
Qualcosa che non abbia parole d’urto, qualcosa che non serva, ma che sia letto e basta.
L’altro giorno ero alla stazione. Ripensavo alla lista della spesa scritta con dedizione e poi dimenticata sul tavolo come lista che pesa.
Fu mentre mi dicevo queste cose che lo rividi: ne era passato di tempo, e per un attimo o forse cinque esitai, credevo fosse stata l’immaginazione, il niente a cui pensare che mi avesse spinto a vederlo e invece era lui. Ne riconobbi subito l’odore, mi urtò senza chiedere scusa, mi sconvolse prendendosene il merito. Non ci parlavamo da secoli e non lo vedevo da lustri. Era come rispolverare ogni cosa e metterla al suo posto.
Ero alla stazione: una suora mi chiese una sigaretta ma non gliela diedi, le dissi che non poteva, non lei, non una suora. Le diedi un rosario e lei ne fu sorpresa, disse che le sue litanie ormai si recitavano con collane da bancarelle  ricattando i poveri neri e ridicolizzandoli perché il Signore è bianco.
Ero alla stazione: un ubriacone mi chiese di fare all’amore e io, intanto che aspettavo il treno , accettai. Ricordo che fu la prima volta che non sentii il peso dell’amplesso; fu la prima volta credo che non ne piansi per il dolore e per la scorrettezza di un attaccamento autentico forte, intenso caduco e meschino. Allora decisi  di innamorarmene. Lo salutai senza una parola, solo un cenno, quello delle mie mani che conducono su per le gambe le mutandine. No, non esisteva alcuna forma di disagio, era bello e volevo non smettesse di guardarmi. Lo amai senza saperlo. Lo amai e ne fui contenta.
Ero alla stazione, l’autista del servizio numero54 mi schiacciò un piede e io ne fui contenta: era la prima volta che non sentii dolore alcuno, solo urla di chi mi stava accanto, visto l’umano accaduto.
Ero alla stazione, un bambino mi chiese l’ora e io seguii il mio istinto; gli diedi un ceffone uno di quelli che vedi nei film uno di quelli belli.
Ero morta alla stazione