venerdì 27 gennaio 2012

L' ora di un uomo.

Verso ora o verso quest'ora, non importa quando, non importa a che ora, una clessidra si rompe e l' irrequietezza appende tutti a un filo.

Privato di tutti i suoi punti di riferimento, ma mai smarrito di orologio, cominciò a farfugliare qualcosa davanti a un cartellone pubblicitario.
"Cosa cercheranno domani i miei polmoni, un bicchiere d' acqua non potabile, un succo di frutta che consola con la sua acidità?
Non trovo più la mia sedia, non riconosco più il mio albero e quindi, non troverò mai neppure il mio tavolo.
Non ricordo più dove ho messo gli appunti  della mia vita, né posso più esagerare sulla costruzione del mio passato. Ho un orologio al polso, uno al taschino (Flaubert fa un inchino). Avevo un carretto sul quale accumulavo ogni oggetto colorato, gli attaccavo un' etichetta bianca adesiva e vi riponevo ogni contenuto di creatività. Le idee lì si fermavano, e io gli davo ospitalità. Siamo tutti ospiti, gli dicevo. Amanda... Amanda era la mia luce. L'ho vista morire all' ora del tè; l'ho vista ricamare le sentinelle del nostro vicolo preferito; l'ho vista allenarsi a giocare a carte. Ma è tutto perduto. Non ricordo più nemmeno la scheggia che aveva nell'occhio. Era di quarzo, questo lo ricordo. Il suo occhio di vetro, la sua gamba di legno. Non posso ricordare, me lo impediscono il tempo, la fama e la biancheria che non porto più."
Così egli rifletteva a voce altissima nella sua testa e fra i denti, fissando con sguardo vuoto quel cartellone pubblicitario issato da due enormi pali grigi, come una vela. Raffigurava una scena di salotto: due uomini ben vestiti, alla moda, che lanciavano un sorriso appetibile; l'uno con mani delicate reggeva una tazzina, l'altro con labbra sottili e occhi sgranati si preparava a dire chissà cosa e ammiccava un biscotto al miele. Tutt'intorno vetrinette da bar con dolcezze e dolciumi, l'aria era calda anche se non la sentivi. E una donna all' altro tavolo, sola. Una scena banale. Un orologio che trascinava lancette su numeri romani e infine, tre lancette: una per le ore, una per i minuti e una per le ossa. Un cartellone pubblicitario per inauguarare uno stupido café. Il quarto in quartiere.
« Sorprendere è un mestiere», questa volta lo disse davvero a voce alta, infatti non si sorprese. Poi cominciò a piovere. Sedette alla sua panchina. Piovve più forte e per tutta la notte. Sedette all' altra panchina, aprì il giornale, cominciò a leggere...

lunedì 16 gennaio 2012

Vago per borghi antichi

  
Vago per borghi antichi
e nuove strade in costruzione,
nessun asfalto m' appartiene.

L' anima chiede asilo
e desidera essere liberata 
dalla patria ostile -il corpo-, 
luogo di meraviglia e perversione.
Ogni uomo è un passaggio di Tempo
e in questo lembo fatto di arbusti
in fiore l'odore è putrido.

Una lucciola mi chiama,
luce del sentiero non posso averti,
bisogna camminare a luci spente.
Marcio per non cadere, 
sbuffo per non sorridere.

Vengo da un posto isolato
e nessun posto m' appartiene.
Evoco ricordi a voce alta, li enuncio,
li sbatto in faccia al vento
ma questo non ascolta.

Vengo da un buio pesto
dove le luci sono illusioni sfuocate
di vita e di morte
e nessun posto m' appartiene.

Sono un sciuscià in cerca di umanità:
dallo sporco della polvere
e dal lercio che un piede qualunque scalcia
giungo a parvenze indelebili nella mia mente.
Risorse di verità in cui il visibile si tinge di rosso.

Massaggio le croste dei cuori altrui 
per passione o per mendicanza.
Giungo in un luogo dell'anima:
respiro,
non m' appartiene.