lunedì 25 marzo 2013

Dialogo impersonale

Ma dimmi, perché hai un'aria così stanca?
Perché ho riflettuto.
Su cosa?
Qualcosa circa me.
E chi sei?
Un feto, un uomo, un pugno di terra, una canzone, un credo perduto.
Abiti da queste parti?
Ho una casa.
Hai qualcuno che ti sfiori durante il cammino?
Ho piedi stanchi e foglie raccolte.
Non dovrebbe essere il cervello stanco per quel riflettere che associava e che ti fece stanco?
Credo di aver riflettuto camminando: ho allontanato i chilometri, ho trovato qualche sasso, lanciato nel fiume qualche pensiero, barattato un'estate per un autunno.
Come ti chiami?
Come mi chiameresti tu?
Non lo so, sei solo un volto, una sagoma, un pizzico.
E dunque, mi stai forse dicendo, non mi appelleresti, non mi nomineresti, poi?
No.
L'altro uno sospirò un silenzio d'attesa
No, se la condizione del chiamare, appellare, nominare potrebbe non considerarsi, no, non lo farei. D'altronde, che senso avrebbe nominarti, avrebbe un senso, quel saperti nominare, se oggi comunque ti presenti ai miei occhi come stanco, come autunno, come foglia?
Non lo so. Non credi, forse, che esista un'onomastica, che la vita di un uomo possa essere legata al significato del proprio nome? Potrebbe avere un suo fascino?
Sì, certo, un fascino ce l'ha, così perfetto, così mendace. L'illusione di chi vuol nominarti o di chi lo ha fatto, per esempio, potrebbe fascinare, come gesto ingenuo di speranza; ma l'evidenza a cui non puoi mancare - teatrale - ricalcherebbe l'idea che un uomo di sé si cuce e si indossa: forte o debole anche del proprio nome, come a indossare un abito e vestirne le parti.
E dimmi, come si fa ad essere contenitore senza influenzare il contenuto?
Narciso ebbe il suo nome a guardarsi.
E allora?
E allora, un che sei, continua a stancarti. Saprò riconoscerti.
Ma no, non ho finito, ho ancora da chiedere, interrogare, fendere.
Continua a cercarti, a raccogliere, a contare, a seminare, a distruggere, a vendemmiare, a contempl...
L'altro un si strinse in pianto, rimpicciolì, cadde, si dimenò, si spogliò, si rivestì, disperse i sassi, li recuperò, compose prati, li calpestò, nominò un dio, lo imprecò, allattò da una madre, la accusò di crudeltà, si accarezzò, si avvolse in pianto ancora. Ecco le lacrime che corrono il viso, ecco le gambe, i piedi, la goccia di sale. Ecco il mare, un attimo di tenerezza, l'onta, la lacrima, il dubbio più vasto, l'autunno o l'estate, e l'uno all'altro, poi, daccapo -
Perché si piange?


martedì 12 marzo 2013

Frame pubblicitario

Oggi la pubblicità:
tutto va pubblicizzato, visto,
ben presentato.
Non è forse diventato un nuovo modo imprescindibile di amarsi?

L'amore ai tempi del packaging.