martedì 4 febbraio 2014

Retorica di una fotosintesi

Foglia,
è un sentiero di aridità che li ridusse in centesimi accantonati in scatole fetenti.
Foglia che spunti,
al mattino loro pensavano a te, piccola e esule, ti sbirciarono nel tuo verde nascere.
T'abbeverarono?
Foglia,
merletto di arbusto odor di legno e color di tempo, quelli smisero di pensarti quando nuova gemma metallica li trafisse. Che ti fa l'occhio più piccolo del mondo, ti guarda e t'ama, forse?
Sogno lucido di foglia,
l'opacità dell'asfalto l'ha fatti ciechi e ciecando volteggiano e ciecando annaspano fra gli odori di arbusto e ciecando accecano i tuoi disegni lievi. 
Ti dissero che, che sei solo una foglia, forse?
Foglia che ti conservo nel dolce oceano dei loro pianti,
accogli me piuttosto nel tuo candor d'esule. Esulami da questi morsi che mi strappano alla piccolezza,
proteggi tu il risolino, cullami, ché i loro bambini l'han fatti crescere, il mio è solo rimbambinito, invece, e di crescer non ce la fa. 
Foglia esule,
sfrega al mondo la tua clorofilla, abitua di nuovo tutte le creature a meravigliarsi di sé, riducile a spine innocue, placa il mio pianto, che non si ferma e ingrossa le mie foglie.
Ti diedero che, un volo caduco luccichio di eternità,
ti incantesimarono che, che non eri foglia ma voce significante del tuo nome?
Foglia, dimora di luce, devota alle stagioni,
metafora di te è me.