venerdì 28 gennaio 2011

I miei amici veri

I miei amici veri per fortuna
Non sono come me.
I miei amici veri
Non conoscono parole ancora da inventare
E sanno come vivere il giorno, il tempo, gli amori.
I miei amici veri conoscono il tempo che mi passa davanti
E sanno assaporare buon vino insieme a me
I miei amici veri conoscono la volgarità
I miei amici veri
Ed io
Vogliamo invecchiar bene
Regalarci ancora pene da condividere
E trascorrere le nostre giornate buttati all’osteria
Che è casa tua, Grande Amica e porta da sempre il tuo nome…
Inviteremo anche amici falsi
Ci sfideremo a risiko
Combatteremo il fisico
Fumeremo alcoolici abbandonati in un qualche vicolo..
Cacceremo le nostre armi in caso di pericolo,
come abbiamo sempre fatto,
come ci siamo sempre detti.
I miei amici veri sono per me casa
Perché sono la mia rinuncia triste.

lunedì 17 gennaio 2011

I trucchi

Agglomerati di detriti si struggono per amore della plastica. E io non me lo so spiegare.
Questa è la storia di Z .: grosso, fragile, indeciso.
Sette giugno millenovecentonovantanove.
Le clessidre sfilano gli slip alle ragazze distratte. Le cravatte strangolano i politici. Le auto schiantano in un muro i futuri tassisti in pensione. I libri graffiano gli occhi con i loro spigoli, schiacciano con il loro peso e la loro spietata indifferenza ricevuta. La musica continua il suo gioco assurdo: non evoca ma si manifesta attraverso le sue parole come fenomeno empirico.
Fu durante la coscrizione obbligatoria degli studenti universitari che decisi di arruolarmi all’ esercito dei macellai. Avevo tutte le carte in regola: occhi da serpente, mani abituate al dolore fisico, poca classe e molta generosità, dunque il dare non mi mancava, quel che mi mancava era ricevere. Ma non sarebbe stato previsto, quindi le mie condizioni erano perfette. Tagliai la barba -non avevo scelta- sfilai i pantaloni di sempre, tolsi il solito pullover blu. Restai nudo con le scarpe e i calzini che mi cadevano solleticandomi le caviglie, ma anche a questo ero abituato. Pensai a Barbara durante la rasatura, e molto. Pensai alla Condizione, a cosa volesse dire e pensai che il rapporto “barba da radere- Barbara” non fosse poi così strano: pensavo al nostro rapporto inesistente, finito, come quello mio e della barba che schifosa cadeva nel lavandino celeste. Quando ebbi finito di radermi, coprii lo specchio, andai a dormire.
L'indomani all’ufficio Macello. Vi trovai lei: storpia, storta , ma aveva gli occhi. Cominciò senza un perché a parlarmi.
“Credo di avere trentadue anni, sai. E credo di non essermene mai accorta. Ieri , proprio ieri ho perso la casa, un balcone m’è caduto sul piede, staccandomelo, la mia è una condizione precaria, come vedi… ho tristezza…”. Se ne andò. Non ebbi il tempo di risponderle, solo di toccarmi il viso, pensando di avere ancora la barba. Mi convinsi che qualcosa stava cambiando.