lunedì 17 gennaio 2011

I trucchi

Agglomerati di detriti si struggono per amore della plastica. E io non me lo so spiegare.
Questa è la storia di Z .: grosso, fragile, indeciso.
Sette giugno millenovecentonovantanove.
Le clessidre sfilano gli slip alle ragazze distratte. Le cravatte strangolano i politici. Le auto schiantano in un muro i futuri tassisti in pensione. I libri graffiano gli occhi con i loro spigoli, schiacciano con il loro peso e la loro spietata indifferenza ricevuta. La musica continua il suo gioco assurdo: non evoca ma si manifesta attraverso le sue parole come fenomeno empirico.
Fu durante la coscrizione obbligatoria degli studenti universitari che decisi di arruolarmi all’ esercito dei macellai. Avevo tutte le carte in regola: occhi da serpente, mani abituate al dolore fisico, poca classe e molta generosità, dunque il dare non mi mancava, quel che mi mancava era ricevere. Ma non sarebbe stato previsto, quindi le mie condizioni erano perfette. Tagliai la barba -non avevo scelta- sfilai i pantaloni di sempre, tolsi il solito pullover blu. Restai nudo con le scarpe e i calzini che mi cadevano solleticandomi le caviglie, ma anche a questo ero abituato. Pensai a Barbara durante la rasatura, e molto. Pensai alla Condizione, a cosa volesse dire e pensai che il rapporto “barba da radere- Barbara” non fosse poi così strano: pensavo al nostro rapporto inesistente, finito, come quello mio e della barba che schifosa cadeva nel lavandino celeste. Quando ebbi finito di radermi, coprii lo specchio, andai a dormire.
L'indomani all’ufficio Macello. Vi trovai lei: storpia, storta , ma aveva gli occhi. Cominciò senza un perché a parlarmi.
“Credo di avere trentadue anni, sai. E credo di non essermene mai accorta. Ieri , proprio ieri ho perso la casa, un balcone m’è caduto sul piede, staccandomelo, la mia è una condizione precaria, come vedi… ho tristezza…”. Se ne andò. Non ebbi il tempo di risponderle, solo di toccarmi il viso, pensando di avere ancora la barba. Mi convinsi che qualcosa stava cambiando.


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