giovedì 10 febbraio 2011

La Belle Epoque

Restare costantemente sospesi.
Sentirsi ripetutamente appannaggio del mondo e lo specchio di una foglia autunnale, ingiallita e malconcia, ma mai sole per se stessi. Si finisce sempre col dire che il mondo è piccolo, che alla fine desideri, sospiri, strategie, ideali e utopie sono comuni a tutti perché l’uomo è una macchina imperfetta che si aggira per strade periferiche di notte, strade diverse ma sempre le stesse… e allora se tutto questo poi è vero, perché sentire sulla pelle il senso dell’ immensità, la sovranità caotica dominare e l'impulso costante al suicidio, a una gestazione pronta per l’ uso, isterica, tormentata e sempre fuggitiva?
Mr. Hudson alla fine, capito lo spreco dei suoi giorni, ha finito per percorrere la realtà dell’ eremita portando con sé un po' di musica, penne, acquerelli e fogli stropicciati, smettendo di essere l’usignolo delirante per tredicenne e trentenni… il cantico di se stesso.
Non ci sono appuntamenti, non ci sono serate, non ci sono notti insonni, non ci sono giorni notti o crepuscoli, per lui solo la frenetica attesa della morte. La curiosità di conoscersi oltre le tende.
Insomma, la possibilità di avere le chiavi e difendersi dalle prigioni, dai poliziotti effeminati e crudeli, meschini come le donne isteriche, odiosi come gli uomini che non mordono più corpi. Ha deciso così: fuori da ogni pericolo. Non crede in un dio, non crede nella collettività, ma solo nella semplice realtà di essere e poi non essere, di conoscere e di non sapere affatto. Però scrive e lo fa senza sosta. Però scrive e fortuna che a lui resta questa terribile movenza artificiale.
Restare costantemente inappagati.
L’orologio continua a battere tempo, la sveglia continua a suonare. Qualcuno resiste, qualcuno si arrende, ma poi è sempre tutto uguale; solita sigaretta, solita penna nera o blu, a volte rossa per ricordarsi di quell’ emozione dal sapore del sangue. Lady McLuhan era una donna distinta che aveva imparato le buone maniere guardando i gentlemen e le gentlewomen che affollavano i film anni ’30, o dai salotti che spiava oltre il vetro di quelle finestre enormi poco distanti da casa sua.  È così che aveva imparato a farsi apprezzare dagli uomini della città e dalle donne che non speravano in nulla. È così che aveva nascosto per settant’anni il suo analfabetismo, la sua demenza che le imponeva di seguire gesti meccanici e desiderare, desiderare, urtare contro le possibilità che non poteva cogliere, che si sforzava di non dover cogliere. Ogni sera al solito orario la trovavi in salotto sulla sedia a dondolo a consolare il suo corpo affranto e disperato perché mai sfiorato, a consolare i suoi sogni morenti e agonizzanti le sue estati invernali e ghiacciate. La trovavi lì, lady McLuhan, a ricamare le solite coperte e a immaginare, ogni notte, che accanto a quel suo corpo-recipiente e a quella metà del letto obsoleta potesse esserci Lui, di cui immaginava il nome, il viso e le rughe che ormai avrebbe dovuto avere. Poi si diceva Buonanotte, chiudeva la porta e la riapriva il giorno dopo con il solito fare, la solita andatura ormai stanca ma pur sempre educata.
Restare costantemente ventenni.
L’era del cinghiale bianco. La danza ventricolare. Leccare l’ adrenalina, costruire-demolire, costruire-demolire, costruire-demolire, demolire-costruire, inventare, scappare, annaffiare piante, sniffare detersivi in polvere, succhiare sangue, masticare fiori, masticare avanzi, immergersi in acqua bollente o ghiacciata, dipingere, scrivere, creare, pescare, partorire.. tutto questo da fare nell’ arco dei vent’anni.
Matt aveva vent’anni. Bettino venti tra un giorno e aveva preparato un gran bel promemoria annotando tutto ciò che avrebbe dovuto fare in quei trecentosessantacinque giorni del suo ventesimo anno. Era tutto lì, scritto in bella grafia con l’ inchiostro blu. Bettino, il signor B. come lo chiamavano i compagni, decise il giorno dopo il suo compleanno, di lunedì, di attaccarsi a un cappio e aspettare che il respiro cessasse. Restò costantemente ventenne.

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