domenica 12 agosto 2012

L'uomo e il mollusco (pensieri indigesti)


Vieni qui. Sarà l'unica volta che potrò dirtelo. Contati i passi che ti sono rimasti in tasca, e datti un motivo per       rovistare nell'immondizia di un passato che l'umido rifiuta. C'è un cuore di troppo, una lacrima che si gela fra le scogliere del mio Cilento, un uomo nero, l'altro che per sentirsi mollusco costruisce castelli con le gambe. Sai, amore, cosa mi farebbe più male al cuore?
Dimmi, cosa sarebbe che ti fa.
Saresti tu, la ragione ultima e perciò quella che per prima potrebbe scivolarmi, l'involucro dei miei pensieri, la tenerezza di un castigo autografato, l'attimo in cui ti sognai e volli morire, morire d'amore, perché d'amore non si muore, lo dicono i musicanti. Ma amore, leccami via l'argilla, abbraccia i miei silenzi, calpestami il cuore duro, piangi all'urto di questi anni zero, di questi amici crudeli, di questo crescere e correre che mi fa stancare. Amore, sai cosa mi farebbe più male al cuore?
Dimmi, cosa farebbe che ti è.
Saresti tu, i miei costanti mal di mondo lontani da te, l'esercizio alla penna solo per un attimo di vana gloria, un esercizio senza stile, amore mio, mi farebbe crollare le pupille, rimandare gli amplessi per un valore estetico. Amore, mi farebbe paura invocare questa parola ormai vuota, e dimenticare che io ti vedevo anche nei giornali, nelle edizioni scadenti, nel suicidio di Pavese, nelle lacrime così poco letterarie dell'amico Calvino, nelle incertezze di Pasolini, nel rifiuto di dirsi grande di Warhol. La paura sarebbe ciò che costruiscono i miei occhi alla vista di un derviscio che ha occhi solo per le sue danze, per gli altri.
Sai, amore, cosa mi ferirebbe di più al cuore?
Dimmi, cosa ferirebbe il tuo è, che ti fa il cuore, dimmi, amore.
Amore, è questo gioco che parte da te e continua a chiamarsi amore. Questo gioco linguistico inafferrabile, la lingua che chiede sempre amore, e che in ogni lingua resta un morso che l'uomo sputa a ogni sorso, quando amore non conosce, e che dona a ogni spalla, quando amore sente.
Dimmi amore - chiese amore -, cos'è che più di tutto ti ridarebbe il cuore?
Saresti tu, amore, l'amore, l'omonimia che non indica identicità, ma solo somiglianza, un gazebo nel quale rinfrescarmi, una scatola da aprire ai miei sessant'anni, la mano dolce che rimpiange il corpo, le inesattezze che ci si sforza di allungare, il tempo che si fatica ad amare, la meraviglia che il mondo intorno dimentica. Saresti tu, amore: l'amore. Una civetta che fissa la luce di una camera, una vita, una camera, il silenzio.


Ieri perdevo il mio cuore oggi lo ritrovo e me lo tengo stretto, stretto, stretto fra i denti e i camici delle infermiere, quelle belle, mamme nelle piccole cosce di rame, donne nelle mani che han toccato i corpi indigesti di vita. Quel che un giorno gli uomini chiamavano gioia oggi si chiama silenzio. La diva del muto l'ho ritrovata al mare, oggi, proprio oggi, in mezzo alle alghe e alla calura, in mezzo.

L'aria intorno entra ed esce dalle corde della mia armonia. Si spalancano bocche al mio capezzale. Si chiamano sorrisi, sto parlando delle fauci.

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