martedì 14 maggio 2013

l'amento

Aglia, aglia, ai ai!, lo dici spesso, sai.
aglia, aglia, ancora ai,
senza acca, non tira vento, è solo bruciore, sai.
I portici della città piccola, ricca di appellativi e di poca virtù, sfilano, si gonfiano e riempiono visioni d'ogni tipo. S'ammorbidiscono addosso ai passanti come formaggio fuso, come plastica che brucia. Ma non c'è puzza intorno. Qui, qui dentro, più vicino allo schermo, più vicino, anzi più qui, più dentro. Avvicina gli occhi, bacia lo schermo, la fattispecie di una pagina, abbraccia il computer, mettigli fra le pagine un po' di profumo, rendilo umano, accosta la bocca, bacia la pagina ingombra. Tu dici che non puoi, che non è una vera pagina, è finta... e intanto non ti accorgi di come tutto si è contaminato indistinto, di come il nostro scrivere è un trascrivere il parlato, con sempre meno avverbi, sempre più punti, e sempre meno pulsioni da esaudire. Nemmeno più le stelle del 10.VIII d'ogni anno. Nemmeno più un'incognita. Chiedi alle parole come si sta dietro a uno schermo, chiedi a Marilyn, la bella impasticcata nel torto, chiedi a Jean Seberg, come fanno a morire ancora ogni giorno nella stessa mente opaca d'un'Europa piena d'asma, itterica, troppo materica. L'Europa sembra figurarsi a ogni inaugurazione: il solito ospite con la piantina "classica", il solito già cestinato, che allunga quel braccio come a dire faccio solo un assaggio e ingozza, va via sempre pieno. L'Europa è vecchia, è come il gioco asimmetrico dei volti: adesso stiamo a guardarle il lato destro, ché del sinistro ne abbiamo abbastanza. E poi c'è l'Oriente, che da Le mille e una notte ancora insonne vive l'incubo d'un Occidente che ogni notte la invoca, un estremo sud, un estremo caldo di giorno, che ha sempre il freddo di notte, e gli statunitensi a scoprirlo... in America non è vero niente che quelli sono pazzi, hanno le armi, uccidono i fratelli, non è vero niente che si vive meglio, non è vero niente, che è enorme e allora c'è tutta la tipologia di gente in un'unica gabbia. Ma l'Italia ha quel patrimonio culturale: di Pompei ha gli scavi, di Pisa ha la torre, di Milano ha il duomo, di Sorrento ha il golfo, di Salerno ha il porto e la cocaina di trent'anni fa, di Napoli ha Gesù e Gennaro. L'Italia ha troppi complementi di specificazione e appartenenza, ha molta compagnia, non ha complementi di comunione, né complementi individuali, ha un mucchio di roba accantonata in un mar spento, in mezzo a coste bellissime tutto è frastagliato, e il granchio scappa perché la sua casa oggi è invasa da un animale mai visto prima di colori fortissimi, blu e giallo, con segni che assomigliano a queste lettere: ACE, e poi ha come una bocca bianca, dalla quale ha visto colare liquido arancione, non ha ali - pensa il granchio - è pura, è caduta giù a picco, come fa il becco di un gabbiano. perché piango? perché la fantasia è diventata reale, e questo è l'orrore. Ci si rifugia nel reale, oggi. Descrivere ciò che appare reale è follia, a leggerlo. Perché non ti guardo? Perché preferisco immaginarti. Perché ascolto musica vecchia? Perché non l'ho mai ascoltata prima. Ma tu alle feste non balli... sei sciocco a non vedere che invece i piedi ballano, balla la spalla, e si sorride spesso. Guarda com'è cresciuto, guarda il sorriso tuo come era grande quando ti tenevi in piedi su una ringhiera di verde, quando c'era solo da immaginare. Guarda come sono pazza, mentre rido, guarda che follia a partire dai propri bisogni fisiologici. e al rumore del treno non pensi? e a tutto quanto non è mai stato consumato, spolverato, non pensi?

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