Da grande dicevo: scrivere
è una movenza artificiale. Ora che sono piccola mi dico: scrivere è
una movenza artificiale. Gli altri, estremo riflesso di me stessa, non fanno
che domandarmi: "E cos’è che è cambiato, quindi?"
E io, arrossendo, col naso all’ ingiù dico loro che non è cambiato
nulla, certo. Ciò che ieri pensavo oggi lo dico. E vi pare che non sia cambiato
nulla?
Quando da grandi si diventa piccoli occorre una necessità,
in molti taciuta o rifiutata, che è la consapevolezza. Quando la percezione
diventa intuizione e l’intuizione diventa pensiero e il pensiero trova
equilibrio col peso del corpo, allora la consapevolezza è alle porte; anzi è
entrata. Si è piccoli davvero. La
piccolezza è infatti consapevolezza, o peggio, coscienza del sé.
Da grande sognavo di diventare, in quest’ordine: suora,
attrice, giornalista sulla tazza… e oggi
non so più chi essere. Ecco: si è piccoli. Quando
parlo con qualcuno, qualcuno che mi è vicino, qualcuno che mi è lontano, non
avverto la svolta di un pensiero ma ne riconosco
l’autenticità (ognuno è autentico perché è manifestazione di se stesso, e allo
stesso tempo e modo, tanto per citare il titolo di un libro non letto, ma solo
sfogliato e modificato “chiunque può essere chiunque” per lo stesso principio).
Se ognuno di noi, in fondo (e se dico in fondo riconosco il fondo e lo tocco)
sa di essere autentico, allora può avvertire di essere chiunque. Ecco allora che l’umanità
si fa abbraccio e abbraccia ogni cosa e si fa collettiva, un bene comune; nasce
il delirio dentro ciascuno di noi. La scrittura esemplifica tutto
questo ‘mio-tuo-suo- nostro-vostro-loro’. Scrivere non è mai stato più difficile, una
movenza artificiale, e per fortuna che a noi resta la scrittura. Resta perché
resiste al di sotto di tutto: resiste. Resiste nel caos del piccolo uomo,
resiste nelle fragilità del piccolo
uomo, resiste e basta. Ma c'è bisogno che le sia assegnato uno
spazio? Da qualche parte, in modo patetico avrò detto che la scrittura si
salvi e resista perché dicotomica è la sua natura, evolutiva e involutiva; essa
è uno slancio fra il vuoto di un precipizio e il vuoto di un salto su un
materasso senza reti. La scrittura accoglie tutto nella sua natura artificiale, nella sua spinta alla sensibilità, anzi ridico umanità. Rivive negli anni,
splende e si spegne. Le mani di coloro che scrivono hanno una responsabilità enorme nei confronti di
chiunque e dunque di loro stessi, nei confronti della scrittura e dunque della
democrazia, nei confronti del mondo e dunque dell’ecologia, nei confronti del
progresso e dunque della tecnologia, nei confronti di loro stessi e dunque dell’umanità.
L’egoismo non ha una natura negativa, non ce l’ha per natura. Perché se uno
sente una necessità, un’esigenza è per egoismo, sì, ma pensateci: quanto bene può
fare a un altro raccontare questo slancio o caduta dell’ego?
Che la scrittura si salvi, fugga se domani la vorranno
truccare, ingioiellare per essere messa in vetrina. Si esprima, si apra, si
mostri, si faccia piccola se nasce da una consapevolezza.