I passanti e i pensieri e i pensieri passanti.
A : Ho questa foto,
cornice delle azioni malandate. Ho perso i figli dei miei desideri
parlando alla città. Non ricordo più quand’è stata l’ultima volta di pura
gioia. Vivo in ballo imballata. Voglio camminare dritto e stare bene con quello
che c’è. E di parlare, mi va.
β : Un gregge di gente che alza l’indice per dire , ‘sì,
anch’io’, e sarebbe bello se le lezioni s’affollassero di dita all’aria.
Γ : Digrigno i denti pensando a Ungaretti, arrossisco e
m’innamoro se penso a Campana, muoio se penso a lui, così distante dagli anni
miei, così vicino nell’ irrealtà che ha l’odore del letame. Cito controvoglia,
sbadiglio al barista, un caffè, si capisce. Assecondo la pazzia, la pecora nera
non si riconosce più tra il gregge e allora ogni pecora è pazza. Al centro
commerciale si può fingere d’essere chi vuoi, innanzitutto sei chiunque. Le scale salgono e scendono, mobili
loro immobili noi. Alcuni bimbi chiusi in una bolla di plastica galleggiano
spensierati sull’acqua. Tutto questo non ha senso.
Δ: Siamo quegli stupidi che s’inventano il futuro, come a
giocare con la colla e i cartoncini, se lo costruiscono a poco a poco, altrimenti
senza immaginazione si soccombe. Siamo le ragazze del quartiere che mangiano
pietre per dimostrare di essere forti. Siamo quelli che con la tristezza ci
vanno a letto e alla felicità danno buca.
E : Un tempo mi fustigavo per la morale e rincorrevo il
buoncostume per non uscire mai fuori dai ‘potrei’. Amavo l’ombra della fertilità
estiva e mai mi concedevo a slanci mentali febbrili. Non che oggi tutto questo
sia stato rimosso, almeno in parte. Ma l’esercizio alla vita ripaga e ripiega
su se stesso sempre, e ammetto sempre in relazione all’altro. Ho tratto
giovamento dalle relazioni con l’altrui gabbie e ripensando all’Alfieri,
probabilmente, anche in una mia possibile ‘epoca prima’ ci sarà stato un
episodio simile a quello della reticella. Allungo gli occhi un po’ più in là.
Lo faccio volentieri; a immaginarmi in erba, oggi in fiore, a consumare il
tempo e gli occhi, a mangiare ancora mani, a desiderare, e senza dubbio a sentirmi
la voce. Abito in via delle possibilità, ogni vicolo è percorribile nulla
è scartabile. Le relazioni si fanno meno
morbose, ma si riconoscono e pretendono la paternità. Settembre arriverà. A dicembre, invece, c’è la
raccolta dei sassi.
Z : Crudeli e fischiettanti se ne vanno in giro per il
mondo. Nessuna gioia, alcuna gioia; nient’altro che una smania infinita e cagnà,
stando fermi. Ho deciso di tuffarmi e lo feci: com’è profondo il mare, esclamai
con meraviglia celata al mondo e rimasi a guardare il profondo mare. Sono in
mezzo al mare, se affanno le braccia fra l’acqua mi sento, sento la pesantezza
del mio corpo leggero nel mare, c’è. Una folla di gente decide d’accalcarsi,
programma della serata: scegliersi uno spazio, un posto da abitare nella rete,
poi ci prenderanno. Tutti a casa, tutti lì quasi nella rete. Tutti muti, nella
rete, tutti, sorridevano tutti, tutti sorridevano muti. Così.
N : Una medusa si avvicina avvolta nella sua bellezza: elegante,
morbida, lucente. Lo sguardo di lui la segue intimorito e già innamorato. Nella
morsa della bellezza tutti vogliono morire, nessuno escluso. La bellezza
salverà il mondo, qualcuno lo ha urlato tra i titoli in libreria. Che cos’è la
bellezza se non un vuoto nel quale precipitare, il tempo che serve perché appassisca
consumata tra ingordigie e carità trovata fra carruggi e asfalti con mill’occhi.
Cos’è che ti trascina ogni notte ai piedi della mia porta, che ti fa amare la
bellezza, bella com’è t’avvolge e in un patio andaluso giurerai di averla vista.
La vedrai altre mille volte, altre mille v o l t e, mille volte a l t r e. Sì,
mi diverte. Ogni angolo del tuo viso mi diverte, perché è uguale al mio. Sì mi
diverte costringere la fantasia in storie prevedibili. Sì, mi piace non
conoscere altra gente, ma avere sempre la stessa che vive da secoli su quella
panchina. Sì, mi diverte tornare sulle stesse parole e sugli stessi rimandi. Sì,
non mi diverte affatto stare in mezzo a tanta gente, avere trentasette orecchi
e due virgola cinque bocche, quattordici occhi e fingere di non aver visto
nulla. Ogni volta, mi diverte.
Θ : Se incontrassi
tutti loro al supermarket il carrello correrebbe in avanti, li urterebbe e
troverei qualche scusa per annusarli, carezzargli ‘occhi e rimpiangere la mia
credulità. Balla con me fino alla fine dell’amore, che senso ha, ma sì, balla
con me. Che la scrittura si salvi, che l’inchiostro ci macchi tutta la bocca,
che la scrittura si conceda a tutti, che si rifugi dai pochi, che si salvi la
scrittura, perché stanotte la voglio liberare. Ti immagino sai, scrittura, fra la
collottola di vecchi uomini ingialliti, fra le primavere dei giovani ormoni,
fra le cravatte dei giovani devoti, fra le calze smagliate delle mogli e i
calzini ripiegati degli uomini, fra le occasioni perdute di chi vive solo. Tu scrittura,
salvati. Se ti salvi tu, scommetterò sui destini della gente, ti terrò viva in
fuga, fuggi da me se vuoi.
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