domenica 15 aprile 2012

viaggiatore universale

Un tizio mi raccontava barzellette al bar della stazione e io ridevo non per il contenuto ma per le facce che si divertiva a mostrarmi senza saperlo. Ridevo, uh, come ridevo! Il gioco del riso è unico e incontrastabile: è un riso amaro, o amaro riso, stanne certo. E fa ridere anche quello. Terminate le sue quattro o cinque barzellette andò via. Disse di chiamarsi Giggi, "con due 'g' ", tenne a precisare. Mi strinse forte la mano nel dirmi arrivederci e lì capii che era un uomo e basta, forse buono. Chissà, pensavo, da bimbo sognava già di intrattenere gente alla stazione raccontando barzellette e sognava già di essere un pompiere tanto simpatico e rassicurante, con tutte quelle 'g' che si porta dietro? In autobus, invece, scoprii facce nuove tutte strapazzate convinte di niente e vagabonde, con una disperata voglia di restar meno sole e gli occhi, se li avessi visti, glieli avresti chiusi. Io riscaldavo uno dei sedili ultimi, però che sporgeva sul mondo, sui discorsi, sulle facce e sulla pioggia. Pensavo al mio amore, a qualcosa da fare, alle mani, agli amici, alle amicizie, alla musica quella che si dona come un segreto e invece poi scopri che in giro la conoscono tutti a partire dal tuo segreto. Abbi pazienza, quanto mi divertiva dirlo ai clienti del fast food, "abbi pazienza, c'è un po' di confusione, tra un attimo sarò lì". Ripetevo sempre questa frase, così pareva che il cliente aspettasse con una pazienza meno nevrotica, quasi comprensiva; in fin dei conti comprendere non serve a molto. L'aver compreso mi ha sempre reso le cose più difficili. Se piove da due giorni senza sosta su questo tetto è perché non c'è vento a portarsela via, la pioggia. Il che vuol dire che non si respira e il fatto che oggi mi manchi il respiro è comprensibile. Ecco, l'ho detto, comprensibile, ecco l'ha fatto; ha compreso. Quando ritorno a casa, non sotto questo tetto, ma fra le braccia sue, la  marea mi bagna sempre un po' i piedi. Ma se mi tiene forte, che la presa non la molla, che la pelle come l'acqua è trasparente, allora resto di più e forse comincio anche ad arredarla, questa casa. Poveri adulti, spesso mi dico. Cresciuti per caso, a farsi strada fra ragnatele e erbacce, a fare i ruoli, a decidere per altri, a fare i grandi senza averlo chiesto. Io bimbo non ci resto, grande non ci divento.
Sancho Panza e io siamo amici da molto tempo, ma oggi piove, il tempo è passato e forse dovremmo smettere di vederci al solito posto e di giocare a acchiapparello. Sognare stanca.

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