giovedì 12 aprile 2012

O oso O doso

Nell'antica Grecia ai piedi di una lingua di roccia un tempo s'affacciava pensoso Krino che ebbe una crisi, che prese a confondere e a separare. Dimorò in lui, come molti dissero, 'un subitaneo cangiamento', ma dentro di lui gli eventi non furono così ben definiti. Krino non si voltò mai da quel paesaggio, non ci fu un solo momento della sua crisi nel quale diede le spalle all'immenso paesaggio, riflesso del suo stato d'animo. Dopo di lui ci fu il frate di Pasolini, che per un anno intero restò lì, in ginocchio con i rampicanti a ingarbugliargli l'anima. Ma questo accadde molti secoli dopo e soprattutto il frate non aveva alcun dubbio; ecco perché suscitava anche un amaro riso. Krino visse per sé e per gli altri in uno stato di febbricitanti passioni, di mesti dubbi e di enormi pensieri. Dalla sua esperienza nacque la crisi. Per alcuni fu malattia, per altri rinascita, per i peggiori uno stato perenne. La crisi invase gli spazi, occupò paesi interi in certi periodi, rovinò e aggiustò un groviglio di umanità con una invasività tale che fermarla o anche solo percepirla in anticipo fu impossibile. 
Io, io qualunque, Krino me lo vedo dappertutto: conquista gli spazi, sporca i pavimenti, saltella sui miei passi. Da quando ha voltato le spalle alla lingua della Grecia è leggero, dice, ma io non gli credo. Io qualunque non gli credo. Quando sentii parlare la fanciulla al professore lei disse che la crisi è bella, e chi se ne vuole uscire più dalla crisi, io ci sto bene in crisi. Disse proprio così. E lui la guardò sorridendo, come a dire come sei fanciulla, tu. Devi farti scoprire tu. 
Vedete, la crisi accarezza ogni cosa fino a giungere al paradosso se non se ne esce, vivi o morti. Infatti il professore quel giorno le disse che era diventata una donna, ma quando ella parlò sentì ardere ancora il fuoco della fanciullezza. E non la disprezzò.


Krino diceva sempre: meglio un delirio quotidiano che precipitare sempre. 

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