giovedì 14 giugno 2012

Ultima fermata

Cinque donne mi invitarono a entrare. Esitai. Poi entrai.

Oggi ragiono sui silenzi, sulle clessidre in frantumi e gli scontrini che si dichiarano sempre meno di quel che sono. E mentre scopro a fatica il velo, mentre guardo con amarezza il mare, ho tutta la sabbia negli occhi. Il sole è in cima alle cimase, ma poco importa, per me è notte fonda. Il nord Europa mi fa paura, non ci metterò mai piede. Mento. Sono a piedi nudi, quattro grattacieli sono crollati alle mie spalle, il medico mi rincorre mentre scappo dall'ospedale: questi ha bisturi e punti, gli occhi sono spiritati, i denti così splendenti. Il sindaco mi ha parlato di un nuovo comune che stanno edificando alle spalle del mio, dietro, dove si trovano pure le verità, lo chiameranno il comune dei diseredati. Faccio di no col capo: non è un bel nome, non è. Ho chiesto a Stravinsky di starmi accanto, ho chiesto a van Gogh perché tanta sofferenza ai piedi d'un campo di girasoli, ho chiesto al cielo di piovere di meno, ho chiesto all'abisso e mi ha risucchiato, ho chiesto all'abisso e mi ha ricacciato. Mai più mediocri sere a frantumarsi il cordone, mai più a contarsi le monete in tasca, a stringersi come la notte, a colmare il vuoto di una provincia di sentimenti, non sento niente, non c'è niente. Così mi ridesto dal sogno, bevo un po' d'acqua, è salata. Indosso le scarpe e scalza mi chiudo la porta di casa alle spalle. Che cosa lascio, che cosa trovo, quante nuove occasioni; sempre le stesse. Ho visto Zingaro Incoronato, fra gli spasimi e le lettere, l'ho visto annerire gli spazi bianchi d'inchiostro e di vino, spazzolare le rime del mare e mettere in salvo gli animali dagli uomini. Mi ha riconosciuta, come tutte le mattine, mi ha guardata come a dire tu che fai qui. Non ho detto nulla, non ti posso toccare, ma vorrei che dicessi. Con lo sguardo mi ha fatto cenno di sì, poi ha aggiunto che non può. E' meglio non sapere. Resta la clorofilla da leccare, verde vitale, restano le corde delle chitarre da spezzare, un orologio profumato in camera da conservare, un pacco pieno di lettere da leggere ancora, quell'occhio da mordere, e quel sacco di sogni che devo andare a riprendere.
Finisce così, senza un senso, nemmeno uno. Si articola su spazi immensi la possibilità. Cancello le immagini, cancello i ricordi, la memoria è troppo carica. Basterebbe, se ci fosse, un pulsante, delete, una fiamma, uno schiaffo, una stretta per sentire che si è vivi. E com'è triste morire da vivi e da giovani. Werther fece moda a suo tempo, perché era facile vivere d'un fiato e morire per vanità. Oggi Werther dove sarebbe?
Ero in mezzo ai popoli, agli autoctoni, al folklore, agli stranieri. La luna era piena, e maledetta, che mi fa andare fuori controllo. Ho detto troppo, la bocca è secca. sens-

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