E troppi corpi ancora non si fermano.
La vidi passare, a un piede una scarpa, all’altro un calzino
sudicio. Il sole picchiava forte sulla testa calva e lucida del capotreno che
tolse in un attimo quel buffo cappello e si fregò la mano sulla testa più
lucida che mai, sudata. Non potei fare a meno di arrampicare un sorriso. Lei intanto
ancora che urtava i passanti ingombranti, ancora che zoppicava a un piede,
quello scalzo, perché l’asfalto scottava. Scoppiai a ridere, elementare watson.
Alle elementari ci andavo a piedi, con zaino in spalla e fratello davanti, la
salita e la responsabilità di se stessi che ti faceva sentire Grande, macchè,
se la rideva il pasticciere. In treno scavai più che potei, elemosinai sguardi,
assetato come ero, insaziabile, avrei voluto strapparli gli occhi, assaggiarle
le carni, ma il caldo, i fiati di tutti quasi asmatici, mi fecero sentire un
traboccante senso di vomito. Come ogni giorno, d’altronde. Vorrei fare
chiarezza sul senso mio di nausea. Non sono mai stato un uomo che da bambino
vomitava di frequente, salvo casi
febbricitanti, mangiavo, andavo di corpo regolare e correvo con piacere. Da adolescente
vomitavo da ubriaco poi dormivo. Da quasi quello che sono cominciai ad
avvertire un senso di nausea. Oggi lo sento, mi sta addosso, sale dai piedi si
ferma alla gola, e mi sta addosso come
alle calcagna, tutto il tempo. Non provo disgusto per l’umanità,
affatto. Provo disgusto, ecco tutto. Mi piace stare fra gli altri, riesco ad
intrattenere anche buone relazioni. Ma la nausea, dietro, di spalle, poi
davanti, di soprassalto, poi dall’alto, dal basso… Sono nauesato, anche ora, per esempio, mentre
ripenso. Pensare mi rende infine stanco oltre che nauesato. Perché sono un
inetto. Non sono in grado di avere relazioni con le singole persone, l’ho
detto. Mi fa orrore anche solo l’idea di dover creare un’intesa, capisce, una
cupola, una conscenza autentica peggio ancora avvolgermi a un altro. Non ho
amici, ma in mezzo agli altri ci so stare. E lei poi, non so cosa voglia dire
stringere un corpo tra le braccia mie flaccide, cosa voglia dire guardarsi
negli occhi e dormire insieme, tanto peggio. La nauesa. Al lavoro, sarà stato il primo giorno, credo, sedetti alla scrivania e dopo un paio d’ore di
pratiche commerciali, urlai, beh... sì, il tono era alto, urlai SIGNORI, LA
NAUSEA. Risero i colleghi, risero senza manco chiedersi dove fosse la nausea,
cosa volessi dire, o se stessi per vomitare. Incapace, capisce, incapace, per
quanti sforzi voglia fare, quanti bei capelli spazzolare, non c’è nulla che mi
porti alla sazietà, all' inverso vomito. E me ne sto qui, a fissare lei fuori
dal treno, un piede dentro, l’altro fuori. Lei che suda, che s’appicica alla
carne, al pensiero… lei che il senso di nausea me lo schiaccia per i minuti che
verranno… “ Signore, e adesso come si sente? Signore?!”, sentii stringermi il braccio, trasalii. Un uomo mi
fissava preoccupato e incuriosito insieme. Lo rassicurai che andava tutto bene,
ero sudato, continuava a fissarmi. Dopo un minuto circa riprese: “ signore, non
vomiti qui, la prego” . Capisce, replicai, uscii dal vagone.
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