mercoledì 29 febbraio 2012

Le pareti d'agosto


E troppi corpi ancora non si fermano.

La vidi passare, a un piede una scarpa, all’altro un calzino sudicio. Il sole picchiava forte sulla testa calva e lucida del capotreno che tolse in un attimo quel buffo cappello e si fregò la mano sulla testa più lucida che mai, sudata. Non potei fare a meno di arrampicare un sorriso. Lei intanto ancora che urtava i passanti ingombranti, ancora che zoppicava a un piede, quello scalzo, perché l’asfalto scottava. Scoppiai a ridere, elementare watson. Alle elementari ci andavo a piedi, con zaino in spalla e fratello davanti, la salita e la responsabilità di se stessi che ti faceva sentire Grande, macchè, se la rideva il pasticciere. In treno scavai più che potei, elemosinai sguardi, assetato come ero, insaziabile, avrei voluto strapparli gli occhi, assaggiarle le carni, ma il caldo, i fiati di tutti quasi asmatici, mi fecero sentire un traboccante senso di vomito. Come ogni giorno, d’altronde. Vorrei fare chiarezza sul senso mio di nausea. Non sono mai stato un uomo che da bambino vomitava  di frequente, salvo casi febbricitanti, mangiavo, andavo di corpo regolare e correvo con piacere. Da adolescente vomitavo da ubriaco poi dormivo. Da quasi quello che sono cominciai ad avvertire un senso di nausea. Oggi lo sento, mi sta addosso, sale dai piedi si ferma alla gola, e mi sta addosso come  alle calcagna, tutto il tempo. Non provo disgusto per l’umanità, affatto. Provo disgusto, ecco tutto. Mi piace stare fra gli altri, riesco ad intrattenere anche buone relazioni. Ma la nausea, dietro, di spalle, poi davanti, di soprassalto, poi dall’alto, dal basso…  Sono nauesato, anche ora, per esempio, mentre ripenso. Pensare mi rende infine stanco oltre che nauesato. Perché sono un inetto. Non sono in grado di avere relazioni con le singole persone, l’ho detto. Mi fa orrore anche solo l’idea di dover creare un’intesa, capisce, una cupola, una conscenza autentica peggio ancora avvolgermi a un altro. Non ho amici, ma in mezzo agli altri ci so stare. E lei poi, non so cosa voglia dire stringere un corpo tra le braccia mie flaccide, cosa voglia dire guardarsi negli occhi e dormire insieme, tanto peggio. La nauesa. Al lavoro, sarà stato il primo giorno, credo, sedetti alla scrivania e dopo un paio d’ore di pratiche commerciali, urlai, beh... sì, il tono era alto, urlai SIGNORI, LA NAUSEA. Risero i colleghi, risero senza manco chiedersi dove fosse la nausea, cosa volessi dire, o se stessi per vomitare. Incapace, capisce, incapace, per quanti sforzi voglia fare, quanti bei capelli spazzolare, non c’è nulla che mi porti alla sazietà, all' inverso vomito. E me ne sto qui, a fissare lei fuori dal treno, un piede dentro, l’altro fuori. Lei che suda, che s’appicica alla carne, al pensiero… lei che il senso di nausea me lo schiaccia per i minuti che verranno… “ Signore, e adesso come si sente? Signore?!”, sentii  stringermi il braccio, trasalii. Un uomo mi fissava preoccupato e incuriosito insieme. Lo rassicurai che andava tutto bene, ero sudato, continuava a fissarmi. Dopo un minuto circa riprese: “ signore, non vomiti qui, la prego” . Capisce, replicai, uscii dal vagone. 

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